L'infinito alla GAM

Posted by MES mercoledì 23 aprile 2014 alle 22:00 No comments


Dal 29 marzo 2013 la mostra permanente della Galleria d'Arte Moderna di Torino si sviluppa in quattro percorsi: infinito, velocità, etica e natura. Questo perché un anno fa, in occasione dei 150 anni della GAM, è partito il suo restyling, che comprende la scelta da parte di quattro professionisti di altrettanti temi da sviluppare utilizzando le opere già di proprietà della Galleria, in modo da non spendere soldi in giro, che qua l'acqua è poca e la papera non galleggia.
Non lo dico io: lo dice lui.

Intanto, al piano di sotto, due artisti si confrontano sul tema del bianco opposto al nero. Per il primo abbiamo Ettore Spalletti, per il secondo, Omar Galliani.
Lo dice pure lei.

Se avete intenzione di vedere tutto in una botta sola, vi consiglio di portarvi una bottiglia d'acqua zuccherata, soprattutto se come me avete il vizio di guardare le mostre dalla fine. Vi troverete di fronte ad un bivio: da un lato, uno stanzone inequivocabilmente bianco, dai cui muri pendono lastre di azzurro e rosa pastello e nei cui angoli si annidano ampolle di blu; dall'altro, un antro infernale di grafite nera su legno chiaro, opportunamente piallato per mettere in risalto le sue venature sotto il disegno.
Un'atmosfera dantesca. Ti giri da una parte e vedi dentature che si stagliano su un cielo stellato pronte ad inghiottirti, e un attimo dopo una lastra azzurra come l'infinito ti guarda appesa ad una matita appoggiata al muro.


Al piano di sopra si dipanano i quattro percorsi. Particolarmente significativa è la rappresentazione della velocità da parte di Scarpitta con la sua Rajo Jack, che avevo già avuto modo di ammirare in una mostra precedente tutta dedicata a lui. Certo che uno che costruisce auto da corsa se si parla di velocità qualcosa da dire la trova. Quello che mi ha colpita di più, però, è stato il tema dell'infinito.
Intanto secondo me cercare di rappresentare qualcosa che non possiamo concepire del tutto, essendo noi esseri finiti, equivale a un suicidio. Poi perché non esiste solo l'infinito di Spalletti, che ti accoglie in una rappresentazione tutta bianca del suo studio personale con lastre di infinito di azzurro fuso, ma anche quello di Eccher che si arrovella su uno stesso pensiero, come in Keep your seat, opera che ha il merito indiscusso di non passare inosservata.


Immaginate di essere rinchiusi in un pensiero, una situazione, un sistema, e di non riuscire ad uscirne. Tipo nell'opera di Marco Tirelli che imita il susseguirsi di porte e finestre di un paesaggio urbano, uno di quelli con i palazzi dormitorio formato cubo e il fumo di una ciminiera invisibile che intossica l'aria sullo sfondo.
Roba da città industriale, traffico e...  nebbia, un'altra grande protagonista della mostra. La nebbia sfuma i contorni e ci illude che non esistano, così da immaginarci chissà quale spazio sconfinato dietro di essa.

Ho due osservazioni argute:
1. Quando un artista cerca di rappresentare l'infinito, cioè qualcosa che non ha limiti, usa spesso dei frammenti geometrici da riproporre per un po', come se il concetto di limite fosse legato a quello della ripetitività. Se riempio una tela enorme con file di quadrati di colori diversi in ordine sparso, ci metto una cornice minimal e lo appendo ad uno dei colossali muri bianchi della GAM, è probabile che chi lo guarda abbia l'impressione di vedere un frammento di qualcosa di molto più grande, che si estende al di là del quadro e continua all'infinito.
Badate che il quadro di Tirelli, al quale potrebbe sembrare che io alluda, non era nella sezione dedicata all'infinito. Questo ci porta alla seconda osservazione, che è più una domanda:
2. Sono io che sono in fissa, o la storia dell'infinito riguarda l'80% delle opere in mostra? Da Galliani con la sua nebbia a Spalletti con l'azzurro pastello, a Tirelli, fino allo splendido Ragazzo morso dal ramarro di Caravaggio con la sua luce brillante immersa in un buio che potrebbe nascondere di tutto.

Anche in musica esiste la pratica di ripetere una frase più volte, sovrapponendo una voce ad un'altra come se si inseguissero, e questo ben prima della nascita della Loop Station. Dicesi Canone.


0 commenti :

Posta un commento