Chi mi conosce sa che una mia costante è quella di perdermi.
Non fa differenza se vago in un villaggio vietnamita fatta di acido o se giro in Corso Peschiera alla ricerca di un posto dove comprare il latte, perché in entrambi i casi io semplicemente non ho idea né di dove mi trovi, né di come ci sono arrivata, né tantomeno di come tornarmene a casa. Cammino in stato di trance, aspettando la visione di uno dei miei fatidici punti di riferimento: non biblioteche, scuole, magari nomi delle strade, che ne so... No. Io mi ricordo solo le pasticcerie e i parcheggi. Non so se c'entri con qualche trauma infantile, ma è così.

Peccato Biondo non sappia tornare a casa: ci risparmieremmo ore e ore di giri a vuoto alla ricerca della traversa giusta. Ma in fondo è meglio così: non avrei mai scoperto l'esistenza di tante cose, che pure erano intorno a me. Per esempio, ho scoperto che non mi ci vuole poi tanto, da casa mia, ad arrivare alla GAM o alla Fondazione Rebaudengo, oppure a farmi un giro al Parco Ruffini, oppure ad osservare da vicino il grattacielo della Lancia.
Dell'ultimo potevo fare a meno. Però fa ombra. E a Torino, guarda un po', c'è spesso il sole.
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